venerdì 28 febbraio 2014

Atlantico



Sono allodole quelle tracce, un disegno fatto a spolvero
atlantico come l’odore che esce dal cielo

Sventola il fazzoletto, la donna con bambino
conficcata sul mare come la torre di Belém
Le manca d’essere una Madonna, a imbarcare gli addii
con la bocca che regge il peso di un gigante

Al suo gesto-verso, basta il mare
la veste popolana, aperta alle ginocchia
le maniche a forma di vento

Nel ventre, infilata cruda
l’ombra si allarga a un saluto
che migra


*
Sono allodole quelle tracce, un disegno fatto a spolvero
atlantico come l’odore che esce dal cielo

(forse putti sugli altari sontuosi del non sense
gialli fraintesi come odalische…)


Sventola il fazzoletto, la donna con bambino
conficcata sul mare come la torre di Belém

(reggente, mai percorsa da disagio)

Le manca d’essere una Madonna, a imbarcare gli addii
con la bocca che regge il peso di un gigante

Al suo gesto-verso, basta il mare (il mare, oh mare…)
la veste popolana, aperta alle ginocchia
le maniche a forma di vento (il vento, oh vento…)

(ricoveri dei sogni tralasciati o persi negli occhi del mattino
senza più il compito d’indagare sui domani incerti)


Nel ventre, infilata cruda
l’ombra si allarga a un saluto
che migra

(ci sono luoghi pieni
di tutto il vuoto del creato
lì, anche come ombra, riempirei d’abbracci)

*
(forse putti sugli altari sontuosi del non sense/gialli fraintesi come odalische…)

forse limone, forse narciso, il giallo fluo
a tracciare l’impalco del non pudore
che s’aggiudica primato d’audacia e genio

(versione estesa)
ho tracciato l’impalco del disegno
con il giallo del limone e del narciso
per dipingere un putto sullo specchio
un’imprudenza casuale, un errore
a regalare la terza dimensione
(1)

*
(reggente, mai percorsa da disagio)

ecco il motivo esatto – ho meritato
la corona d’alloro per aver continuato
a rammendare i calzini, per aver messo fiori
nella borsa della spesa, ali ai mappamondi
e circumnavigarli con un aereo di cartone

*
(il mare, oh mare…) (il vento, oh vento…)

la parentesi per dire che
non rivedrò mai più il mare
ma col vento
mi scontrerò ogni giorno
tra i mulini, le polveri, i crocicchi

*
(ricoveri dei sogni tralasciati o persi negli occhi del mattino /senza più il compito d’indagare sui domani incerti)

so disporre vetri con i vetri
la latta, le maioliche, la solitudine
nella vecchia credenza da schiarire

*
(ci sono luoghi pieni /di tutto il vuoto del creato /lì, anche come ombra, riempirei d’abbracci)

i luoghi scomposti in altri mille luoghi
corpo che contiene mille corpi, un vaso
mille vasi, il vuoto, così come lo sento
altri mille vuoti
 
(1)
Mi commissionarono di dipingere su di uno specchio. Era la prima volta ed erroneamente, abbozzai il disegno col pennello, quindi in stesura definitiva, in giallo evidenziatore, bello come il magenta. Non avrei dovuto farlo: lo specchio che avrebbe riflesso perennemente quel colore cosi sgradevole. Proseguii, impastando la luce con l’ocra e l’oro. Il disegno del putto appoggiato a un albero, correva parallelo al lato destro delle cornice e una fiera maculata, era stesa alla base. Per fortuna, una volta terminato e visto nell’insieme, si notava qualcosa di magico, oltre la bellezza della realizzazione. Pareva un bassorilievo, se solo il punto di vista si spostava dal centrale all’accidentale, anche di pochi gradi. Tutto grazie al quel primo errore che si rispecchiava, fornendo punti di luce anche dal rovescio della pittura.

*
(forse limone, …primato d’audacia e genio)

può darsi che i puntelli reggano
tutto l’oscuro dietro i gialli
a dichiarare -c’è tempo- la stesura
profonda d’oltresuono senza armoniche
maschie d’assalto, femmine di senso

*
(ecco il motivo… aereo di cartone)

porti sicuri, taverne di quartiere
le braccia resistenti alle ortiche
tra oceaniche rincorse
e i clamori delle uova al tegamino

*
(la parentesi… i crocicchi)

oh no, è dalle cime che vedremo tutto
quello scorrere di lini e di genziane
fuori la porta è un viavai di sogni
ma qui, fra le parentesi, si fa reale
e puoi apparecchiare il tetto o
appendere tre luci al pavimento…

*
(so disporre vetri… da schiarire)

impila pure anche le parole
tanto ritornano come quei primi
sempre più arricchiti

tagli la gonna oppure vai a dormire?

*
(i luoghi… vuoti)

son solo numeri i mille e gli uno
ci son bicchieri pronti ad ospitarci
senza privative né suffissi
pronti persino a farsi baldacchini
nel dondolio di un atlantico minore

*
I
giallo narciso, in ogni nome
nel disegno prima che nasca
da polvere di madre, che ha tracce
sulle mani. i gessi, l’idea di un tempio
il fuoco. la voce di profeta
che cade recisa come la testa
dell’unico figlio

II
su uno specchio di Rouault, fare uso
dei propri medesimi tratti
per cogliere le sembianze del demonio
in quell’acqua di ortiche che ravviva le ombre
perché la carne cali sulla carne
il mondo sul suo stesso male

III
fuori la porta, la tovaglia è un recinto di galline
l’odore dei gigli, della menta, nello stesso clamore
dell’uovo al tegamino. ed è tutto un apparecchiare
di tetti e pavimenti, con la luce che si accende
come una tromba che richiama al primo rancio

i lini saranno le gonne tagliate, delle signore

IV
prima di dormire
allungherò il taglio della gonna

verrai con me, o resterai per le scale?

V
sarà un atlantico minore
il blu del lenzuolo, il vuoto del bicchiere
l’aria dei baci nella carne
cancellata dalle ombre delle ortiche

*
#1

Ah tu e i tuoi richiami teologico-uterini
confondi il ventre delle prefiche partorienti
solo di pianti a pagamento
No, nessuna testa nel canestro
solo una palla per giocarci

#2
c’è il giudizio morale in tutte le vetrate
dove il demonio raccoglie prostitute
vestendole d’azzurro
“perché la carne cali sulla carne”
perché si svolga la benedizione

#3
nei grembiuli s’insediano gli odori
che i figli ammassano a memoria
gemito e tromba la voce della casa
dove gli incroci sembrano abitudini
e silenzio i mille brontolii

le gonne giocano col vento, dei signori

#4
mi troverai sempre
tra le anse tranquille del tuo seno
senza ricami, solo vena e sogno

e tu, verrai con me vestita di viola?

#5
c’è un’onda dietro la lavagna
-ricordi i castighi elementari?-
che porta via tutti i controsensi
lasciando piccoli lillà
al posto delle ortiche
ah, quei baci da fotoromanzo…