sabato 30 giugno 2018

sarebbe più facile dire cosa sto facendo





Catania 2018 -30 Giugno- 20,12


vorrei dire signor ministro
che è piuttosto comodo indicare senza agire
tenere tra le mani un bambino morto
non è come guardare una foto
che rapidamente scompare da ogni memoria
ma l’importante è ricordarci d’altre faccende
troppo distanti da noi, mi pare chiaro signor ministro
sa, signore, anch’io non ho palle come lei. mi schifo
delle blatte e delego altri per ucciderle. è facile
lei lo sa quanto è facile


Dachau 1942 -Gennaio- 5,35-


era ancora buio quando arrivai
ma già capivo che non sarebbe rimasto nulla
di quei 32 che eravamo e tra stampelle
e sedie a rotelle… ci rimaneva solo la voce
poca, quel tanto che bastava per dire “porci
che Dio vi maledica” prima che la gola si chiudesse
per sempre


Catania 2018 -30 Giugno- 20,31


ma lei non ricorda signor ministro
non vuole o forse non può per via del gioco
che tanto la prende, come certi bambini
mai cresciuti e impertinenti
che si divertono a sfasciare mummie
e chiudendo le finestre per non mostrare
il vizio mal nascosto e la certezza
che nessuna corda in nessuna piazza
ripeterà la storia…


Roma -qualche giorno prima-


“No al reato di tortura. La polizia deve fare il suo lavoro”.  Le forze dell’ordine manifestano il loro dissenso all’introduzione del ddl…


Catania 2018 -30 Giugno- 21,02


L’ha detto lei, ministro! Lo sa almeno cosa ha detto?
Credo proprio di no! Lo sa, signore, ho sempre creduto che la polizia, i carabinieri e quant’altro, non è vero che sono costretti a eseguire gli ordini, poverini, è che gli piace,  perché sono fascisti proprio come lei, e della peggior specie. Ma tanto lei ha le sue milizie armate in quel serbatoio di scarti e feccia che sono i suoi seguaci. Scusi lo sfogo, signor ministro, ma non ne posso fare a meno. Sa, io sono un anarchico naturale, e già mi infastidisce la democrazia, pensi!


Milano 1945 -Piazzale Loreto-
Domenica 29 Aprile- 11,00


che vogliamo farci, è la commedia
anche a Cesare non andò proprio bene
e nemmeno a tanti altri durante e dopo Norimberga
e mi pare che l’Europa è piena di storie del genere


Catania 2018 -30 Giugno- 22,31


avrà letto da qualche parte, signore
di quel che rimane di ogni prepotente
magari tra un gioco e l’altro con i suoi bambini
che belli, e che fortuna che non sono neri…
si guardi allo specchio signor ministro
non è nemmeno la metà
di quel mezzo uomo appeso!


venerdì 22 giugno 2018

della stanza vuota (1989)


#1


-di lei non so più nulla- era una stanza che mi coccolava
il sogno indietro che spingeva la memoria
quando dall’alto nessun sole mi reggeva il passo

c’è una costante sensazione che parte da tutte le pareti
in contrasto con gli aneddoti sulle libertà
liberamente tratti dall’esperienza degli artisti
penso alle stupide interviste che intrappolano la mente
ai sussidi prodotti da mamme inconsistenti e padri nulli
libertà è scelta e si può scegliere anche la prigione

-come scorrono i suoi giorni, come guida, come ama-
stanza musicale chiara di colori senza sottoscale
e doni sopra il pianoforte ormai scordato

nei ripostigli si accendono rappresaglie contro i despoti
ma le cose durano di più di una tirannia
e per la legge dei ricorsi sanno che torneranno a splendere
noi chiudiamo porte con le croci per fermare i morti
e li piangiamo sperando, almeno di sognarli
tra una luna piena e l’altra inconsueta
-vogliamo bere qualcosa, poeta-


#2


le corde tese dietro la finestra mi portano lontano
verso i corrimano provvisori di vecchie balconate
o nei raggiri imprudenti delle raffinerie

-ricordi il tempo delle mimose morte tra i libri consumati
era un fermare il bacio, la spinta del rifiuto involontario
acceso dalla voglia di toccarsi anche senza mani-

gira veloce il giorno bruciato dalla smania
di masticare meglio i passi del mattino
sotto l’odore delle scampagnate

il tuo caffè scorretto dietro l’ora appena prima del silenzio
quando solo il frigo col suo ronzio simmetrico
scandiva il senso dell’essere presente


#3


la signora del vino me ne fa assaggiare sempre
un mezzo bicchiere prima di versarlo
-sa che lo prenderò comunque- ma lei attende
che la stima si riempia prima della bottiglia
il coro solito di voci aiuta lo scorrere degli anni
un quadernetto con dentro tutti i nomi
scivola tra le facce ed il vallone
che porta via le risorse dei ricordi

-e come sta Rinuzza-
che strano a sentirlo, così la chiamava il nonno
più di cinquant’anni fa


#4


sembra che si cerchino parole per impressionare i muri
sembra che si voglia dare tono al silenzio chiuso nelle casse
dell’antico senso del discutere ogni cosa lontana dalla perfezione

certi giorni hanno tracciato vette come rampe per un lancio
verso cieli amaranto dove ruotano boccagli salvavita
altri, abissi senza strisce gialle attorno al bordo

cosa c’è per cena
niente ripieno di menzogne e un po’ di zafferano


#5


la polvere non sembra infastidita dalla luce
anzi ci gioca e disegna probabili giostre
per la memoria assuefatta al silenzio

che musica può esserci nella sua mente
mentre balla da sola un ritmo inconsueto
i fianchi non decifrano ciò che le mani afferrano

-da qui ti amo- disperdo verso gli angoli assorbenti
tanto non ascolterebbe, anche senza cuffie
il grido è solo un lento scorrere di fiato

appena speso e guai a chi preme il tasto
ché a parlare d’amore ti perdi il passo
e mi stringo il collo ormai troppo Modigliani

-perché di lei, di ieri non so più nulla-


#6


cipolla e pomodoro spezzano le vene mentre ripassi
sulle impronte di tutte quelle notti eppure inquiete
col tetto stampato dietro le palpebre senza più importanza

anche il rumore (un tempo suono) va pian piano in prescrizione
cade in quella parte logica che chiamiamo istinto
e con nessuna restrizione si dibatte nel soffritto

che c’entra adesso questa variante nel cortile
dove gli ulivi erano corona e contraltare
adesso confine per narrare le distanze

nessuna voce nel vocabolario che indichi altro vuoto
nessun segno che identifichi questa strana assenza
solo gli schizzi dell’olio sulla mano

tra la padella e il cuore


#7


secondo il rituale dovrei bruciare queste ali degradate
dalle incurie e dai pregiudizi e costruirmene di nuove
ma chissà se mi allontanerebbero troppo da questo silenzio che amo
perché pieno di sostanze che trattengono il franare di questa casa

persino la ciotola dei croccantini ha corde robuste
e basterebbero i vinili del signor Cohen per incollarmi alla poltrona
-ricordi, a occhi chiusi, come ci guardavamo, sicuri?-

c’era la somma dei meno sulla scrivania
ma non superavano un solo più di un giorno qualsiasi
e metterei sul fuoco la crostata se avessi ancora mani
per decidere che farmene di me


#8   mi piacerebbe parlare con Darwin


ricordo la sensazione di fresco quando oziavo sotto l’albero
comunque attento ai predatori
quando la mia compagna allattava i due cuccioli
altri amici -non li ho più rivisti- stavano nelle vicinanze…

(tu eri madre innanzitutto con gli occhi socchiusi mentre i piccoli ti giocavano addosso ed eri bella con tutti quei peli… sotto l’acacia)

poi cominciammo a darci nomi e numeri, a tracciare impronte
ad imbrattare muri a vincere l’acqua e la paura e ci vestimmo
infine con tutte quelle macchinette addomesticate attorno
non allatti più che ti scenderebbe il seno
ti meravigli della zampa materna di Ottavia sotto il gelso
e mi parli di cose che non capisco a fondo:
-amore mio- mi dici

  
#.9


non c’è più
 gas nella bombola
stasera più del solito sarà fredda

quante volte morivo ogni giorno
se con lei avevo il paradiso nelle mani
quando nel seme del sorriso vedevo i campi
concimarsi d’amore e fioriture senza tempo

preparerò quel dolce che tanto ammanta
di calore le pareti e fuori dalla porta, magari
sentirò bussare


#10


ho messo su le tende nuove
e il davanzale è ben pulito

quanti anni e quante porte
lasciate appena schiuse a un cielo
pieno di cotoni


#11


anche se m’incamminavo nel silenzio
c’era sempre un minimo fossato
e il fianco vedeva la montagna
un po’ di lato
ecco perché la stanza rimaneva la certezza

con un girasole sul davanzale
seguivamo  i ritorni degli stormi
e le nuvolette di riguardo andare via
dietro lo sguardo di uno specchio
ormai accusa

l’odore del caffè, unica indulgenza
della stanza vuota


#12


immagino vorrai uscire da queste mura
che non rispondono più
e immagino, vorrai sentire se esiste ancora
un là fuori utile senza ragnatele
o tovaglie macchiate di sugo
sbiadito dal silenzio

l’impegno perde la giusta distanza
e si annacqua verso l’orizzonte
guarda poeta quegli esplicitogrammi
come portati dal mare
sul lato medio di questa tua terra

dov’eri mentre mi indicavi a Baarìa


#13


che importa se le tue gambe non erano bellissime
mentre mi parlavi del basilico e di come genera nei sensi
il verso fresco del mattino e che importa del resto
se eri bella proprio il contrario di questa assenza

sotto la finestra, seduta, cosce  in aria
come sapevi piaceva a me

tutti i sogni tra le dita e nel cassetto solo pane da macinare
una tivvù che spiegava a nessuno il superfluo di alcuni peli
e sul calendario, in rosso, il compleanno di Ottavia
si, eri davvero bella quando entusiasta mi mostravi
i germogli di lenticchia


#14


restava tutto immobile al passaggio delle fionde
mentre si cercavano aperture più eleganti

germinazioni anomale fino all’osso
accettate per assenza d’altro perché
di realmente vero rimaneva niente
e con che inganno l’aria ci rattristava
per l’arrivo imminente di una nube giocattolo

andavano e venivano i colori della vicinanza
sempre più andavano lasciando solo
muffe sulle labbra e piatti sporchi
nel lavabo

poi un silenzio di metallo
prese decisioni proprie
e non ascoltammo più…

(altre parole…)


domenica 11 marzo 2018

virtuale erotico strong



…tastiera che freme da qui
pollice impazzito lì da te
l’amore è plastica che arde
processori che si lasciano andare
ram bagnate di passione
e umori sequenziali 11010…

mancano le faccine adatte
o le gif specifiche ma è amore
e tutto con una sola mano…
stasera vorrei un’ungherese
(manca nella cartina
così completo l’Europa)
ma che scriva italiano
non so fare l’amore in magiaro
e poi, come si dice “dai ancora”
in quella lingua?

amicizia amore sesso passione
tutto virtuale ma il dolore
la dignità di una puttana
la viltà di un coglione

con che tasto li cancelli?

domenica 4 marzo 2018

avevano una luce piccola


(penso a come sarebbe il mondo
escludendo alcune ignoranze,
mentre il giacinto si tende
per mostrarmi tutta la sua bellezza)

avevano una piccola luce nella tasca
e la tenevano stretta la mano già bucata
il sale negli occhi senza ombra senza rifugio
avevano la luce che avrebbe salvato il cielo

eppure conosciamo i porcili le latrine
dove si permettono giudizi universali
-grazie Padre per la concessione
di quell’arbitrio libero donato a chi

conosce solo la menzogna ed il potere.
che fai Padre non mi guardi abbassi gli occhi…?-
avevano dei sogni loro si, ci credevano ancora
alla libertà dei giochi ci credevano

a quei padri ormai secchi alle madri ricucite
-guardami Padre, cos’è, hai bisogno di piccoli angeli?-
dovevano rimanere qui, assieme agli altri
per rifare questo mondo.

io, no che dici Padre, non sto piangendo…

sabato 3 marzo 2018

(avrei parlato…)



gli oltraggi e le bugie hanno dimezzato le parole
hanno smesso un cielo vasto
ad una manciata di terriccio consumato
fertile ormai di vermi e acqua morta

avrei parlato di profonde maree senza riferimenti
né attese o rubate attenzioni indecifrabili…
cosa si ama veramente se non il proprio piacere
ma confondendo gli azzurri ho amato il piacere degli altri

ho un pianeta nella mano chiusa e una scimmia nell'altra
e tutto intorno un coro di liocorni che mai esce dalla chiesa...
si diffonde un crescere di pozzanghere
con dentro le inutili coerenze o quel volersi grandi

avrei parlato di corde e larghe strade cartesiane
ma anche della sua bocca avrei parlato
del rame dei suoi occhi, delle curiosità nelle scollature
del nascosto che sempre riesce a sfuggire

del viaggio indefinito dentro i grovigli che sembrano ali
oppure del fermare un punto e da li cominciare a cancellare
ma gli oltraggi e le menzogne hanno bruciato le parole

lasciando forte un odore acre nelle lenzuola enormi

domenica 10 maggio 2015

tu…il mio nome

  


chitarra elettrica di Andrea Michele Patanè



erano rimasti pochissimi richiami
e dalle sponde risalivano immaturi
parlavano le orchidee
e quello che capivo era solo
il bisbiglio della solitudine
ma un ribollire di mosti
mi chiese a settembre
di girare lo sguardo
verso i campi sconfinati dei tuoi occhi

                 siediti qui amore e dimmi del cielo
                 quando tornano le allodole…

e poi ti chiamerò papuzza
sole che mi splende dentro
viola inaspettato e simmetria
ti chiamerò amore
spiaggia e vastità dove
una moltitudine di parole
in silenzio, sarà contraltare
alla carne che ci vuole

                 sentimi con la pelle e avvolgimi
                 serpente magnifico

e i fiori avranno il tuo nome
quando in ogni si
risveglierai, sorprendendola

la luna

senza domande


chitarra elettrica di Andrea Michele Patanè


mi domando se una stella è più di una dea
o se la ragione s’è persa all’angolo delle labbra
dove la ringhiera si attorciglia all’edera
e duecentosei ti amo tremano al posto delle ossa

e sostituisce il respiro quel tuo guardarmi assorta

E tu respira respirami di scirocco e sale
il mio ombelico accoglie
capelli bianchi su giovani colori

è nei dintorni delle umide carezze
che mi voglio fermare un momento
è davanti all'assalto che voglio arrendermi
a ridosso del seno a baciarti la schiena

sul mandorlo bambino raccogli
gemme e gemiti e
scivola la bocca sulle mie cosce bianche

nei tanti si vorrei perdermi
per ritrovarmi nel groviglio di carne e sensi
e perdermi ancora bocca d’amore e perla
dimmi, ti dico prendi ogni goccia
della passione selvatica ed io
afferrerò l’animale sano del tuo corpo regina

e fermati dentro
dividiamo il tempo che ci ha vissuto
rimettimi al mondo col mio primo vagito

lascia libera la giumenta, amore mio
togli le corde e volami dentro con tutti i tuoi umori
io aspetterò che si compia il tuo grido
per essere ancora una volta uno insieme

ecco il miracolo pelle mia sale e moltitudine di si

sul tuo petto senza fiato sono spiga e grano

ancora

toccami finché il vento non tornerà indietro 
prendimi sui petali di una margherita
e contali per ritornare ancora

ti prego ancora, meraviglia

lasciami mani nuove

per sorprenderti 

domani

venerdì 28 febbraio 2014

Atlantico



Sono allodole quelle tracce, un disegno fatto a spolvero
atlantico come l’odore che esce dal cielo

Sventola il fazzoletto, la donna con bambino
conficcata sul mare come la torre di Belém
Le manca d’essere una Madonna, a imbarcare gli addii
con la bocca che regge il peso di un gigante

Al suo gesto-verso, basta il mare
la veste popolana, aperta alle ginocchia
le maniche a forma di vento

Nel ventre, infilata cruda
l’ombra si allarga a un saluto
che migra


*
Sono allodole quelle tracce, un disegno fatto a spolvero
atlantico come l’odore che esce dal cielo

(forse putti sugli altari sontuosi del non sense
gialli fraintesi come odalische…)


Sventola il fazzoletto, la donna con bambino
conficcata sul mare come la torre di Belém

(reggente, mai percorsa da disagio)

Le manca d’essere una Madonna, a imbarcare gli addii
con la bocca che regge il peso di un gigante

Al suo gesto-verso, basta il mare (il mare, oh mare…)
la veste popolana, aperta alle ginocchia
le maniche a forma di vento (il vento, oh vento…)

(ricoveri dei sogni tralasciati o persi negli occhi del mattino
senza più il compito d’indagare sui domani incerti)


Nel ventre, infilata cruda
l’ombra si allarga a un saluto
che migra

(ci sono luoghi pieni
di tutto il vuoto del creato
lì, anche come ombra, riempirei d’abbracci)

*
(forse putti sugli altari sontuosi del non sense/gialli fraintesi come odalische…)

forse limone, forse narciso, il giallo fluo
a tracciare l’impalco del non pudore
che s’aggiudica primato d’audacia e genio

(versione estesa)
ho tracciato l’impalco del disegno
con il giallo del limone e del narciso
per dipingere un putto sullo specchio
un’imprudenza casuale, un errore
a regalare la terza dimensione
(1)

*
(reggente, mai percorsa da disagio)

ecco il motivo esatto – ho meritato
la corona d’alloro per aver continuato
a rammendare i calzini, per aver messo fiori
nella borsa della spesa, ali ai mappamondi
e circumnavigarli con un aereo di cartone

*
(il mare, oh mare…) (il vento, oh vento…)

la parentesi per dire che
non rivedrò mai più il mare
ma col vento
mi scontrerò ogni giorno
tra i mulini, le polveri, i crocicchi

*
(ricoveri dei sogni tralasciati o persi negli occhi del mattino /senza più il compito d’indagare sui domani incerti)

so disporre vetri con i vetri
la latta, le maioliche, la solitudine
nella vecchia credenza da schiarire

*
(ci sono luoghi pieni /di tutto il vuoto del creato /lì, anche come ombra, riempirei d’abbracci)

i luoghi scomposti in altri mille luoghi
corpo che contiene mille corpi, un vaso
mille vasi, il vuoto, così come lo sento
altri mille vuoti
 
(1)
Mi commissionarono di dipingere su di uno specchio. Era la prima volta ed erroneamente, abbozzai il disegno col pennello, quindi in stesura definitiva, in giallo evidenziatore, bello come il magenta. Non avrei dovuto farlo: lo specchio che avrebbe riflesso perennemente quel colore cosi sgradevole. Proseguii, impastando la luce con l’ocra e l’oro. Il disegno del putto appoggiato a un albero, correva parallelo al lato destro delle cornice e una fiera maculata, era stesa alla base. Per fortuna, una volta terminato e visto nell’insieme, si notava qualcosa di magico, oltre la bellezza della realizzazione. Pareva un bassorilievo, se solo il punto di vista si spostava dal centrale all’accidentale, anche di pochi gradi. Tutto grazie al quel primo errore che si rispecchiava, fornendo punti di luce anche dal rovescio della pittura.

*
(forse limone, …primato d’audacia e genio)

può darsi che i puntelli reggano
tutto l’oscuro dietro i gialli
a dichiarare -c’è tempo- la stesura
profonda d’oltresuono senza armoniche
maschie d’assalto, femmine di senso

*
(ecco il motivo… aereo di cartone)

porti sicuri, taverne di quartiere
le braccia resistenti alle ortiche
tra oceaniche rincorse
e i clamori delle uova al tegamino

*
(la parentesi… i crocicchi)

oh no, è dalle cime che vedremo tutto
quello scorrere di lini e di genziane
fuori la porta è un viavai di sogni
ma qui, fra le parentesi, si fa reale
e puoi apparecchiare il tetto o
appendere tre luci al pavimento…

*
(so disporre vetri… da schiarire)

impila pure anche le parole
tanto ritornano come quei primi
sempre più arricchiti

tagli la gonna oppure vai a dormire?

*
(i luoghi… vuoti)

son solo numeri i mille e gli uno
ci son bicchieri pronti ad ospitarci
senza privative né suffissi
pronti persino a farsi baldacchini
nel dondolio di un atlantico minore

*
I
giallo narciso, in ogni nome
nel disegno prima che nasca
da polvere di madre, che ha tracce
sulle mani. i gessi, l’idea di un tempio
il fuoco. la voce di profeta
che cade recisa come la testa
dell’unico figlio

II
su uno specchio di Rouault, fare uso
dei propri medesimi tratti
per cogliere le sembianze del demonio
in quell’acqua di ortiche che ravviva le ombre
perché la carne cali sulla carne
il mondo sul suo stesso male

III
fuori la porta, la tovaglia è un recinto di galline
l’odore dei gigli, della menta, nello stesso clamore
dell’uovo al tegamino. ed è tutto un apparecchiare
di tetti e pavimenti, con la luce che si accende
come una tromba che richiama al primo rancio

i lini saranno le gonne tagliate, delle signore

IV
prima di dormire
allungherò il taglio della gonna

verrai con me, o resterai per le scale?

V
sarà un atlantico minore
il blu del lenzuolo, il vuoto del bicchiere
l’aria dei baci nella carne
cancellata dalle ombre delle ortiche

*
#1

Ah tu e i tuoi richiami teologico-uterini
confondi il ventre delle prefiche partorienti
solo di pianti a pagamento
No, nessuna testa nel canestro
solo una palla per giocarci

#2
c’è il giudizio morale in tutte le vetrate
dove il demonio raccoglie prostitute
vestendole d’azzurro
“perché la carne cali sulla carne”
perché si svolga la benedizione

#3
nei grembiuli s’insediano gli odori
che i figli ammassano a memoria
gemito e tromba la voce della casa
dove gli incroci sembrano abitudini
e silenzio i mille brontolii

le gonne giocano col vento, dei signori

#4
mi troverai sempre
tra le anse tranquille del tuo seno
senza ricami, solo vena e sogno

e tu, verrai con me vestita di viola?

#5
c’è un’onda dietro la lavagna
-ricordi i castighi elementari?-
che porta via tutti i controsensi
lasciando piccoli lillà
al posto delle ortiche
ah, quei baci da fotoromanzo…

lunedì 20 gennaio 2014

Qui piove sempre


rispondendo e poetando con Alessandra Piccoli



A te che senti l’odore
di un pasto friabile
che annulla la distanza
tra il tuo cuore
e i miei capelli
e mordi il tempo
quello che rimane
tra le righe segnate
dalle gocce sui vetri
perché qui piove sempre
a ricordarci che siamo
anima e carne
uomini e maiali
santi e puttane
e accendi luci
spalanchi finestre
cercandomi ovunque
nella stanza tra le pieghe
mi guardi oltre il fumo
mi ami oltre confine
mi odi a parte tutto
per le mie pose sconce
e la mia intermittenza

cerchi i segni
di un incanto assorbito
dalle finestre rotte
cerchi avanzi
di teneri esterni
ma noi
che senti l’odore
noi che chiamo
a scatti, noi
chi rigurgitiamo parole
come sentieri paralleli
e dei coltelli
potremmo farci
gli amori
ma anche qui piove sempre
per ricordarci
che l’anima non ha senso
senza il suo contrario
proprio come noi
pioggia di segni
in linea tra loro
 La mattanza dei nostri contrari
dove le anime muoiono
 e si fondono su quei vetri
 scivolando lievi
in storte direzioni
e io che disegno
con le dita sempre sporche
e contengo
i tuoi deragliamenti
ma è inutile
e te ne vai lasciandomi solo
dita bagnate
e ricordi a pioggia di catene
 leggere come fumo

sarebbero mimose le mattanze
se quelle voci le disponessimo come stelle
 e con un abracadabra
potremmo aprire le gole
a nuovi canti
tu che disegni, tu
che contieni
tu che ami a parte tutto
lascia che si muovano da soli
ché sono vivi
quei contrari
e cercano porte e candelabri
dietro le colline
 prati di erba infinita
che fu la mia pelle
leccata e succhiata
e bagnata di quei canti
che amavi intonare sul mio ventre
che tremava e ti osservava
clandestino e furtivo
rubarmi l'ultimo fiato
prima di un addio
e dell'ultima corsa verso
la tua cattedrale rifugio del mai
dove ti perdi e ti cerco
sapendo che sempre e per sempre
sarai agonia anche tu,
per questo ti odio,
ad intermittenza, e
per questo ti amo.
smetterà di piovere se lo vorremmo
e potranno riaprirsi le serrande
ma se potessi dare un nome
al fuoco che mi brucia
quello è il tuo e se potessi
se davvero riuscissi ad afferrare
quell'essere che intermette
che ama e odia e brilla
come paillette sulla mia intera pelle
se volessi scrivere, se volessi gridare
che di grida si può morire
solo poche sillabe per dire il desiderio
e ti voglio carne e morte mia